lunedì, febbraio 26, 2007

SSIS e dintorni

Tutti i pomeriggi, da qualche mese, mi ritrovo coi miei compagni di specializzazione alla SSIS (Scuola di specializzazione per l'insegnamento secondario). Dalle 15 alle 18, a volte anche fino alle 18.45, assistiamo perplessi alle lezioni di professori che dovrebbero insegnarci a insegnare. Ogni settimana è un avvicendarsi di due/tre professori diversi, perché ogni corso dura solo tre lezioni. Le lezioni sono a frequenza obbligatoria, paghiamo le tasse (più o meno equivalenti a normali tasse universitarie), ci aspetta un esame alla fine del primo anno e un esame di Stato alla fine del secondo.
C'è grande malcontento in aula. Il nostro gruppo (circa 50 persone) è composto da tante realtà diverse, chi proviene da filosofia, chi da storia, chi da psicologia o da scienze della formazione, chi da scienze della comunicazione o da storia dell'arte.
Abbiamo eletto dei rappresentanti di classe e di indirizzo per far valere i nostri diritti e le nostre esigenze. Presto faremo un'assemblea.
Dai discorsi che ho sentito, la maggior parte di noi invita alla moderazione e alla lotta su obiettivi minimi, come il fatto di rendere note le materie e i programmi di esame con un ragionevole anticipo (non soltanto un mese prima!), visto che in classe ci sono donne in avanzato stato di gravidanza e un non vedente che ha bisogno di farsi trascrivere i testi in braille.
Un ragazzo però dice che gli piacerebbe sfruttare questo tempo (due anni) per imparare qualcosa. Certo nessuno potrà insegnarci a insegnare, ma proporci delle lezioni più pensate per l'insegnamento, come dei moduli o delle unità didattiche, magari con delle simulazioni, una specie di tirocinio attivo e metascolastico che si affianchi al tirocinio osservativo che facciamo le mattine a scuola.
Tuttavia, molti di noi, pur convenendo sul fatto che le lezioni pomeridiane, così come sono organizzate, sono assolutamente inutili (quando chiedi a uno di noi come sta, la risposta il più delle volte è: -Depresso), sono però convinti che portare avanti l'esigenza di una didattica più efficace e in parte autogestita sia del tutto inutile, illusorio e anzi controproducente. Sento frasi come: - E' meglio non alzare un polverone, perché se poi si incazzano, all'esame ci fanno un ... così. Oppure: -Tu ti fidi troppo degli interlocutori che hai davanti, li sovrastimi.
Quel ragazzo replica che ci troveremo tutta la vita davanti alla necessità di far valere le nostre ragioni e i nostri diritti, ma soprattutto, aggiungo io, di negoziare il nostro tempo e la qualità del nostro tempo. Rinunciare in partenza mi sembra una follia.
Tanti hanno preso la parola e ti accorgi che ci sono idee così diverse anche su princìpi minimi, su obiettivi che tu dai per scontato. E' la democrazia, baby. Uno mi ha domandato a che cosa servirà chiedere dei cambiamenti nella didattica, dal momento che è chiaro che non ci saranno concessi. Io ho risposto che è importante chiederli e basta, a nome di un gruppo. Ha detto che si aspettava che volessimo andare avanti a oltranza, fare la rivoluzione. A tal punto abbiamo perso la fiducia nel normale esercizio del nostro diritto di rappresentanza.

Io mi sto divertendo molto, al di là di tutto. Umanamente è un'esperienza magnifica. Anche tutta questa diversità di persone, di opinioni: a 16 anni non la tolleri, ora guardi a come mediare, come essere concreto, come esprimere una voce comune. Certo, ho sempre un moto di stizza quando sento quei richiami al quieto vivere, poi mi ricordo che c'era chi li faceva già a 16 anni e allora guardo avanti.