lunedì, giugno 12, 2006

Del volere qualcosa e dello zen

In un post di Alberto sull'arrampicata
ho scritto che secondo me VOLER superare il limite non è ZEN.
Michele, esperto di filosofie orientali, non è d'accordo.
Gabriele forse sì.
Ci sono alcune pagine di J.D. Salinger in "Alzate l'architrave, carpentieri e Seymour. Introduzione" che mi frullano in testa da anni.
Eccole. Chi parla è il fratello minore di Seymour. Racconta di un tardo pomeriggio a NY, mentre gioca con un compagno di strada, Ira, a chi tira la biglia più vicina al muretto. Arriva Seymour, 10 anni, riconosciuto maestro in quel gioco o arte.

"Dal modo in cui stava in equilibrio sul bordo del marciapiede, dalla posizione delle sue mani - da una infinità di altri particolari ero e sono ancora convinto che anch'egli percepiva tutto il fascino di quella magica ora.
- Non potresti mirare un po' meno? - mi chiese senza cambiare posizione. - Se colpisci mirando sarà solo fortuna -.
Parlava, comunicava, ma senza rompere l'incanto. Fui io a romperlo. Di proposito.
- Ma come può essere fortuna, se prendo la mira? - gli risposi non ad alta voce (malgrado il corsivo) ma con un tono più irritato di quanto non lo fossi in realtà.
Non disse nulla per un momento ma rimase in equilibrio sul marciapiede, guardandomi con amore (ma non lo capivo ancora bene). - Perché così, - disse. - Saresti contento di colpire la sua biglia, la biglia di Ira, no? Non saresti contento? E se sei contento a colpire la biglia di qualcuno, vuol dire che in fondo in fondo non te l'aspettavi di colpirla. E allora per forza hai avuto fortuna, dev'esser successo un po' per caso -" (Einaudi, pp. 168-169).

Ogni volta che le cerco per rileggerle c'è qualcosa che non riesco ad afferrare, sembra una contraddizione. Eppure lì secondo me sta il senso dello zen e del fare ad arte qualcosa. Come nello zen e il tiro con l'arco, diventare tutt'uno con la freccia, mettere a tacere la nostra volontà. Come se ci venisse naturale quel gesto, quel movimento.